Cose che gli insegnanti non dicono, di Andrea Muni

Il libro di Andrea Muni, Cose che gli insegnanti non dicono. Come i bambini imparano e si costruiscono la propria storia (Armando ed., Roma 2009), merita di essere letto.

Una breve lettura sulla guerra tra Corinto e Corfù del 431 a.C., la prima sostenuta da Sparta e la seconda da Atene, diviene il pretesto per sviluppare un dialogo, con gli allievi di una classe elementare, che diviene una lezione interattiva sulla Grecia, la sua storia e la sua geografia. Nel corso del dialogo l’insegnante stimola nei bambini la curiosità sollecitandoli a porsi domande e invitandoli, per rispondere, a consultare dizionari e libri diversi. Il lavoro di classe a  un certo momento si articola in sottogruppi in cui ciascun bambino è invitato a svolgere un suo compito: la responsabilizzazione personale accresce così la partecipazione alla ricerca. Il maestro guida con sapienza gli alunni, apparentemente ritirandosi in una posizione di semplice coordinamento, ma di fatto sembra piuttosto un direttore d’orchestra all’opera con una sinfonia complessa. É lui che conoscendo l’argomento può intravedere i problemi e trasformarli in domande per i piccoli studenti. È sempre l’insegnante che induce nei bambini il bisogno di cercare ponendo loro sempre nuovi “perché?”.

La scelta della lettura però non è casuale. Andrea Muni spiega come per lui la guerra sia un momento fondamentale per attivare la curiosità dei bambini: nella guerra possono infatti cogliere quell’aspetto profondo del conflitto che vive in ciascuno di loro, conflitto con la realtà, con i coetanei e con gli adulti. Senza la guerra il pensiero è come morto, in un suo beato equilibrio privo di vita e di interesse. La storiografia di guerra, una delle modalità più antiche del fare storia, basti pensare a Erodoto e Tucidide, diviene così luogo privilegiato per motivare i bambini alla ricerca. Il carattere non eurocentrico di quella storiografia crea un ponte con il presente, con una storia che sempre più richiede di essere studiata in una dimensione globale. L’antico mostra così la sua perenne attualità.

Proprio partendo dall’interesse che la guerra suscita nella psiche infantile Muni riscontra nei bambini quelle capacità cognitive indispensabili per comprendere la storia, che secondo Piaget si attiverebbero solo in un periodo successivo. Queste capacità si attivano però solo se si corre il rischio di insegnare ai bambini a camminare nei pericoli, mostrando loro che anche nei libri si nasconde il pericolo e la possibilità dell’errore. Lasciamo dunque che i bambini smontino i manuali, così come fanno con i loro giochi. Con la guida dell’insegnante potranno poi ricostruire un testo che sia il risultato della loro ricerca.

Il libro presenta all’inizio una rassegna particolarmente interessante e documentata, sul dialogo come modalità di insegnamento, in cui Muni si confronta con filosofi, pedagogisti e studiosi di metodologia e didattica. Alla fine, nel capitolo che ha per sottotitolo “Possibilità e limiti del pensiero di chi impara e di chi insegna”, la riflessione sull’intelligenza e sull’insegnamento assume un andamento filosofico, che mostra come sia compito dell’insegnante aiutare i bambini a vedere “nell’apparire delle parole, il trasparire delle cose”.  Per questa finalità il lavoro sul testo resta fondamentale, contro quelle pedagogie che vorrebbero liberarsi del testo, vissuto come una gabbia. Il testo resta fondamentale, ma su di esso l’insegnante deve esercitare il suo pensiero…e quello dei suoi allievi. Solo interrogato da noi, dalla nostra curiosità e dalla nostra intelligenza, un testo parla e può dirci, anche se è antico, qualcosa del nostro presente.

Paolo Ferliga