Intervista di Manila Alfano per Il Giornale

Intervista sul tragico omicidio suicidio di un padre improvvisamente impazzito.
Brescia 21maggio 2012

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È la follia che non si può spiegare, che non trova verità da manuali ma che cerca disperatamente un senso, una ragione al gesto di un padre che ha gettato nel vuoto i suoi bambini di 14 mesi e di un anno.

«Quando la follia esplode in modo così violento, è importante per chi resta, tentare di trarre un significato da tale tragedia». Lo psicoterapeuta Paolo Ferliga è attonito. Nella sua lunga carriera ha visto tanti casi di uomini spezzati, interrotti da traumi, alle prese con una vita da ricostruire. La depressione, la paura di non farcela, la pressione esterna. Eppure ieri, quello che è successo a Brescia è peggio. Più violento e crudele di tutto. «Anche io sono di Brescia. Vivo qui, i miei pazienti sono qui e insegno filosofia al classico. Come cittadino mi sento ancora più sconvolto».
Cosa può essere scattato nella mente di un padre che uccide così i suoi bambini?
«Un unico fattore non basta a spiegare, ma tanti che insieme hanno provocato un corto circuito. La depressione già presente, la perdita del lavoro che gli ha fatto perdere il senso d'identità».
C'è stato un fattore che ha pesato più degli altri?
«Si, l'anno prima il padre di Marco si è tolto la vita impiccandosi. Un aspetto centrale nella vicenda di oggi. La psiche subisce un trauma enorme se il principio che ti ha dato la vita si toglie la vita. Il dolore del padre si riversa irrimediabilmente sul figlio. Il suicidio di un genitore diventa una ferita che non si rimargina perch´ in un certo modo toglie la vita anche ai figli. Riconoscere il dolore e prendersene cura è determinante. Un gesto che ha provocato un dolore enorme. Marco infatti ultimamente soffriva di depressione. Davanti a un evento così tutti dovrebbero prendere consapevolezza di una ferita che non si rimargina. Un'esplosione di follia che non ha risparmiato la vita dei suoi cuccioli».
Perch´ prendersela con i figli?
«Loro sono il futuro, la speranza di vita, rappresentavano il riscatto per lui stesso. Quei bambini avrebbero potuto lenire le sue sofferenza. Ma era un uomo troppo lacerato dentro per poterlo accettare. Privo di reggere al dolore ha ucciso loro e il futuro. E pensando alla tragica storia della ragazzina uccisa dalle bombe a Brindisi non mi sorprende che abbia ucciso prima la bimba».
Quindi la morte della bimba ha un legame con Melissa di Brindisi?
«È innegabile che quella storia abbia colpito tutti noi. La morte di Melissa è un attacco al cuore pulsante della società. Lui, come depresso, è rimasto ancora più toccato. E non è stato un caso che ha ucciso per prima la bambina: un gesto molto forte simbolicamente che sa di destino da tragedia greca. Ha ucciso ciò da cui gli poteva venire la speranza di un futuro migliore».
Quanto ha inciso l'età?
«Aveva 41 anni. Un'età di passaggio, la seconda metà della vita, finisce la fase della crescita e inizia la svolta, quella più introspettiva, quella della discesa, della morte. A quell'età un uomo impara a guardarsi dentro. Quest'uomo aveva perso il lavoro. Aveva perso l'identità, il suo ruolo nel mondo».
Manila Alfano Il Giornale 22 maggio 2012