Meditazione su San Cristoforo di Roberto Pelusio
Ogni tanto mi capita di incontrare l’immagine di qualche San Cristoforo, è in momenti particolari, sereni e belli anche se non lontano da qualche dolore o ferita, e la sua comparsa regala sempre un po’ di gioia e speranza profonde. Come giorni fa mentre camminavo con amici in una zona della città, passando davanti alla facciata di una chiesa lo vedo lì riprodotto con le tipiche caratteristiche.
Quindi mi è facile rappresentare con precisione la sua figura, che poi è quella di un maschile alto robusto fiero e ricco di vita, con una speciale nota di letizia e gentilezza che si condensa nel fanciullo che porta sulle spalle. Cristoforo ha la barba, le vesti colorate di rosso vivo e giallo (o altri colori), è in cammino a piedi nudi nell’acqua del fiume, ha il bastone o la palma in una mano e in cima ad essa vi sono fiori e frutti. Come gigante fa proprio un gran figurone.
Ci sono però altri giganti, un esempio è il grezzo e rude Polifemo, il ciclope figlio della divinità Poseidone, pastore di greggi di pecore, divoratore di uomini, malfidente e ubriacone, aveva un occhio solo, una visione “unilaterale” e con Ulisse se la passò piuttosto male. La forza da sola non basta.
Ci sono invece altri uomini, magari non sono giganti nel senso della forza e delle dimensioni fisiche ma sono molto astuti e dall’intelligenza fine, sottile, dagli abiti ricchi e i modi civili, come Erode: anch’egli era un divoratore, ma di bambini. Voleva tenersi stretto il suo potere, regale, e temeva di vederselo portare via dal nuovo, da un bambino. Egli è ingannatore, l’uccisore dei bambini, per mano altrui però: distrugge il germoglio quando è piccolo e indifeso. A salvare il Bambino con la Madre ci pensa Giuseppe il giusto, avvisato in sogno da un angelo li porta via attraversando il paese e conducendoli in Egitto.
Anche Cristoforo conduce un bambino in salvo attraversando un fiume. La sua storia lo vuole in origine come un guerriero valoroso e temibile: lo attirava il potere perciò cercava il re più potente di tutti per rendere a lui i suoi servigi. Tuttavia dopo varie vicissitudini decide di fare il traghettatore presso un fiume pericoloso e trasportare pellegrini e viandanti da una sponda all’altra. Forse accettando giorno dopo giorno quel lavoro quotidiano i suoi modi cambiarono, diventò un pò meno guerresco un pò più temperato ed equilibrato, forse diventò più taciturno e solitario, ma certamente più capace di accettare quel che accadeva, quel flusso delle cose sempre in movimento. Il suo era pur sempre un compito rischioso che richiedeva forza coraggio e perizia. In questo caso l’acqua del fiume rappresenta probabilmente l’elemento inconscio, e nelle raffigurazioni pittoriche il fiume è popolato di sirene aragoste serpenti pesci e altre strane creature, ma è dall’acqua che solitamente scaturisce la nuova vita, come accade nella stagione umida, la primavera. Cristoforo incontra un bambino che vuole essere portato sull’altra riva, mentre lo trasporta improvvisamente il peso del bambino aumenta e quasi lo fa annegare, lui proprio non si rende conto di cosa stia succedendo, gli è nascosto il mistero di quel che sta accadendo. Tuttavia compie il passaggio e solo allora gli viene rivelata l’identità del Bambino Gesù che possiede la regalità sul mondo intero e spiegato il mistero di quanto è successo che è anche il compimento del suo desiderio profondo. Certamente è qui indicato un mistero del rapporto del maschile col potere e la regalità, che nel caso degli altri esempi non si risolve affatto, portando distruzione. Invece il suo bastone fiorisce di vita, diviene rigoglio di fiori e frutti.
Roberto Pelusio