Essere maschio oggi
Conferenza di Paolo Ferliga
Casa delle Associazioni
Associazione Omnibus
Brescia 27 settembre 2004
La difficoltà di essere maschi
Vorrei partire da un'osservazione che riguarda il pubblico: mi sembra, così ad occhio, che ci sia una maggiore presenza femminile che non una presenza maschile. Questo fatto ha a che fare con il tema di questa sera, perché le tesi che verrò a sostenere dice qualcosa che a tutta prima può sembrare assurdo. Della crisi del maschio si preoccupano più le donne che gli uomini.
Dicono che oggi il maschio è in crisi, in difficoltà e che mentre le donne, che per un lungo periodo in cui per cause storiche che adesso non stiamo a vedere, sono rimaste ai margini della vita sociale e politica, si sono poi riscattate e oggi sono riuscite ad ottenere diritti e risultati e anche potere, gli uomini in parte non hanno saputo reggere questa trasformazione e sono entrati in crisi. Non solo, forse per i maschi è più difficile vedere la loro crisi, i loro punti deboli di quanto non lo sia per le donne. Questa è una questione che affronterò nella mia relazione.
Ma perché il maschio si trova in questa difficoltà ? Perché essere maschi è difficile, non viene naturale, non é una cosa facile. Non si nasce con questa identità psichica bell’e pronta. Certo, si nasce con un determinato apparato genitale. Ma essere maschi, come essere donne, è qualcosa di più che avere una certa conformazione anatomica, vuol dire avere una identità maschile, come per le donne vuol dire avere una identità femminile.
Mi scuso se i riferimenti al femminile saranno certamente marginali, perché il tema è quello del maschile. Devo dire che la difficoltà del maschio a riconoscere la propria crisi la si riscontra anche nella psicoterapia. E’ una dato che ancora oggi la maggior parte dei pazienti sono donne. E' infatti più facile che una donna riconosca di avere bisogno di un lavoro di introspezione, di cura di sé, per affrontare i problemi che la vita le presenta.
Ciò è più difficile per un maschio e per un certo verso è ben strana la cosa perché la nostra cultura, la cultura occidentale, nasce dalla filosofia greca e nella filosofia greca uno dei principi fondamentali, espresso in modo mirabile da Socrate, è " Conosci te stesso ". Quindi viene dalla nostra tradizione che ha, come tutti sappiamo, una forte preponderanza maschile in campo teorico, che è quasi completamente maschile, viene da questa tradizione, da questa cultura, l'indicazione che è importante conoscere se stessi. Badate bene che ai tempi dei greci conoscere se stessi non era un'operazione intellettuale, non era una questione solo di pensiero, come accadrà poi nel corso della modernità, quando un altro grande filosofo francese, René Descartes dirà la famosa frase " Cogito ergo sum " ponendo così nel pensiero l’origine dell’identità. Ma questo è uno slittamento, un passaggio tipico dell'epoca moderna.
Torniamo all'origine : per i greci il “conosci te stesso” si inseriva in un discorso più generale che Michel Foucault, un filosofo francese morto ormai una ventina di anni fa ha chiamato " la cura di sé " dedicando a questo tema uno dei tre libri che compongono la sua Storia della sessualità e dove mostra come all’interno di una cultura prevalentemente maschile questo problema fosse centrale.
Allora, come mai oggi i maschi invece non si prendono cura di sé ? Ci sono alcune ragioni forse più facili da vedere, ma nemmeno più così chiare, come una volta. Non vale più per esempio il discorso che i maschi sono occupati nel lavoro, perché lo sono anche le donne, quindi dobbiamo cercare delle ragioni più profonde. A mio modo di vedere queste ragioni affondano in una crisi del principio maschile, che per secoli ha orientato dal punto di vista psicologico il comportamento degli uomini. E questo principio è quello del fallo.
Il fallo: fondamento dell’energia maschile
Voi sapete che il fallo era il termine greco per indicare quello che oggi si chiama pene, l'organo genitale maschile, ma Il fallo per stare sempre ai greci, era rispettato come una divinità. In legno di fico o in cuoio veniva trasportato nelle processioni bacchiche. In particolare il dio Ermes (il Mercurio dei latini), veniva celebrato innalzando agli incontri delle strade dei cumuli di pietra (le erme appunto) che rappresentavano il fallo. Al fallo era connessa l’idea di generatività e di potenza, ma anche quella di ricchezza delle energie psichiche.
Nella cultura indiana al fallo viene affiancata la vagina nei culti sacri. Questo rispettare i due principi fondativi della vita, il fallo e la vagina, i due organi genitali che danno origine alla vita, aveva un senso profondo perché la vita era ritenuta un valore sacro, inalienabile, che aveva a che fare con gli dei, che aveva a che fare con dei progetti di cui l'uomo non poteva controllare gli sviluppi. Ancora oggi in India questi due principi sono presenti. Qualcuno di voi ne avrà visto ancora la raffigurazione: una colonna di pietra (lingam) infilata in una pietra rotonda con un buco (yoni), che rappresentano i due organi genitali maschile e femminile e si trovano nei templi dell'India, dove questi principi sacri della vita vengono onorati e adorati.
Cosa è successo invece, in Occidente, nella modernità ? Che la spinta simbolica legata al fallo, al principio creativo maschile è venuta meno. Di questo non si parla, né in famiglia, né a scuole e tanto meno pubblicamente. Al contrario, tutti i temi che hanno a che fare con la sessualità sono stati sequestrati, per così dire, dalla pornografia. Quando qualcuno parla di questa questione rischia oggi di essere preso per uno che sta divagando, su temi più o meno clandestini, di cui non vale la pena di parlare. Tantomeno in una conferenza. Io credo che invece in questo simbolo, cioè nel principio generativo maschile, ma ovviamente anche in quello femminile, stia una ricchezza psichica che va rispettata, perché è la potenza da cui deriva la vita.
L’assenza dell’iniziazione maschile
Ma dove vediamo che questo principio si è molto indebolito ? Lo vediamo nel fatto che sempre più gli uomini fin dall'adolescenza sono in crisi per quanto riguarda la relazione col loro genere. Insegno nella scuola da molto tempo, ho visto sempre più una grande insicurezza dei giovani maschi rispetto alla loro identità sessuale. Secondo me questa insicurezza è legata essenzialmente all’assenza di una iniziazione maschile alla vita. Manca soprattutto, da questo punto di vista, la relazione col padre. Mentre le ragazze, le adolescenti, anche per ragioni di tipo fisico, hanno ancora una certa confidenza con le madri, sui temi legati alla vita più intima, i maschi sono spesso costretti ad apprendere tutto quello che ha a che fare col sesso dai loro pari di età e comunque da chi non può trasmettergli quel significato profondo, simbolico, che è legato ad ogni iniziazione di tipo sessuale.
Cioè noi ci troviamo, per la prima volta nella storia dell'umanità, in un'epoca in cui gli uomini hanno rinunciato a tutti i processi, a tutti i riti di iniziazione. E questo accade solo in occidente e nella nostra epoca, perché sappiamo che in tutta l'Africa e in buona parte dell'Asia e dell'America Latina i riti d'iniziazione ci sono ancora. E qui cominciamo a capire cosa vuol dire principio fallico, principio maschile: si tratta di un principio a cui si viene iniziati, che non ti é dato naturalmente. Qui per i maschi c'è una difficoltà in più che per le donne; le donne naturalmente hanno un rapporto con la loro generatività, che è richiamato periodicamente dal ciclo mestruale e dalla loro capacità di accogliere dentro di sé la vita e partorire un figlio. Per loro si tratta di un contatto diretto col potere creativo della natura.
Il principio maschile, pur essendo incardinato nell’organo genitale e nella sua capacità generativa, è meno visibile e richiede ai maschi una mediazione ulteriore. Per molto tempo gli uomini hanno ignorato la loro parte nel dare origine alla vita. In questo senso essere padre ha richiesto anche una mediazione culturale, legata allo sviluppo della conoscenza.
Anche per questa ragione i giovani maschi per secoli venivano iniziati alla vita adulta dalla comunità dei padri o degli anziani, che gli facevano sentire che il passaggio all'età matura era un passaggio importante, che richiedeva un sacrificio e una ferita. In molti di questi riti al giovane veniva praticata una ferita, fisica o simbolica: poteva essere un taglio sulla mano, piuttosto che la necessità di passare una notte insieme agli anziani davanti ad un teschio, cosa che li spaventava, per metterli davanti al tema della morte, ma anche della vita. La ferita consente a che la subisce all’interno di un rito iniziatico di aprirsi alla dimensione sacra e naturale della vita.
Questo sapere maschile iniziatico non c'è più, solo in parte si è conservato nei riti della religione cristiana, dove per fortuna esiste ancora una salvaguardia della dimensione simbolica nella relazione tra gli uomini. Nei riti del battesimo, della cresima, della comunione c'è ancora qualcosa di iniziatico, anche se oggi prevale spesso la tendenza a ridurre sempre più la componente iniziatica a favore della dimensione consumistica anche di questi riti. Però diciamo che al centro del cristianesimo si mantiene l’iniziazione come momento fondamentale, l’iniziazione della croce. Il cristianesimo è una religione che fonda il principio salvifico sulla ferita, e che ferita! Il figlio di Dio che viene inchiodato tra due ladroni e che viene mandato a morire sulla terra dal Padre.
L’adolescente dipendente
Ma cosa succede ad un giovane che non abbia un’iniziazione maschile, soprattutto verso i quattordici-quindici anni quando comincia a sentire che il suo corpo cambia, che c’è una spinta, una tensione spesso difficile da incanalare ? Succede che si sente molto insicuro, ha paura, non sa cosa deve fare, cerca intorno di vedere chi gli possa dare una linea di condotta, dei comportamenti. E cosa deve guardare ? L’ isola dei famosi, il grande fratello ? Oppure gli restano i giornali pornografici… Ma di sicuro dalla televisione, dai mass media, e purtroppo anche dai luoghi di educazione non gli viene nulla. Anche nella scuola spesso, pur quando ci sarebbe l’occasione, si evita di parlare di quei temi che stanno particolarmente a cuore agli adolescenti. Ad esempio al liceo classico, si leggono poeti ‘omosessuali’ o il dialogo di Platone sull’amore ‘omosessuale’, Il simposio, senza affrontare le implicazioni affettive e psicologiche che tali letture hanno inevitabilmente sui giovani. Ben vengano queste letture, ma sarebbe opportuno non evitare di affrontarle anche per quanto dicono oggi ai giovani.
Un giovane che non è stato iniziato al principio fallico, al principio della maschilità adulta è un giovane impaurito, in difficoltà, tendenzialmente dipendente, facile preda della società consumistica. Possono essere i consumi tipici di chi passa ogni sera davanti ad un apertitivo, di chi va nei bar “in“ della città, di chi comincia a bere superalcolici a quattordici anni, di chi si fa lo spinello, oppure di chi passa a droghe più pesanti o a pasticche prese in discoteca. Di chi insomma trova nel consumo il sostituto di un atteggiamento attivo nei confronti della vita, un atteggiamento che ha nel fallo il suo fondamento. Perché il principio maschile è attivo, il fallo penetra in profondità, è attivo, sia fisicamente che simbolicamente.
Si badi bene che l’energia fallica può essere espressa anche da una persona casta: anche un sacerdote cattolico può esprimere il principio fallico, se esprime la sua energia nella vocazione, così come un artista che la può esprimere nella sua opera. Se non c’è questo principio un giovane diventa passivo e diventa facilmente preda di questo sistema dei consumi che lo incatena e che lo rende dipendente.
Il problema dell’identità di genere
C’è un altro aspetto del fallo che può mettere in crisi profonda un giovane maschio privo di iniziazione. Nel fallo c’è infatti una spinta duplice: da una parte spinge verso l’altro sesso, ma dall’altra verso il proprio genere. Il fallo invita anche ad amare il genere maschile. Ciò è importante anche per poter poi accedere all’altro da sé, al femminile. Alcuni giovani, per questa ragione, credono di essere omosessuali quando provano una grande amicizia, un grande affetto per una altro maschio. Confondono una sana amicizia maschile con un innamoramento di cui si spaventano e rischiano di trasformare una fase ‘omoerotica’ in una scelta che, temono, li potrebbe impegnare per tutta la vita. (Tra parentesi, nessuna ricerca scientifica ha ancora dimostrato il carattere genetico dell’omosessualità e anche nell’omosessualità è possibile rintracciare un principio maschile ed uno femminile. Sul tema dell’omosessualità ci sarebbe ancora molto da dire.)
Quando un ragazzo si trova disorientato che cosa potrebbe fare ? Potrebbe chiedere aiuto a suo padre, o a dei maschi adulti che in qualche modo ne facciano le veci. Ma i padri non ci sono. Anche quando sono presenti fisicamente spesso non lo sono psicologicamente. Paradossalmente è più facile che siano presenti in famiglie mono-genitoriali, oppure in situazioni di separazione dove un padre, magari messo davanti alla separazione anche dai suoi figli, comincia ad interrogarsi sull’importanza del suo ruolo. Più spesso i padri sono completamente assenti, non sempre per colpa loro. C’è tutta una storia di cui parlano Robert Bly e Claudio Risé, quanto meno dalla rivoluzione industriale, che ha separato i figli dai padri perché ha confinato nell’Ottocento i padri nelle fabbriche. Poi nel Novecento i padri andavano in guerra, ne sono morti a milioni, e i figli sono cresciuti senza padre.
Il giovane avrebbe bisogno, in particolare nell’adolescenza, di un padre o di un altro adulto che si assuma la responsabilità di esprimere nei suoi confronti una paternità spirituale o culturale. Ma è molto difficile che lo trovi, anche perché la scuola, ad esempio, è ampiamente femminilizzata. Quindi, mentre per la ragazza è più facile trovare una figura adulta di riferimento in cui identificarsi, lei pensa infatti che diventerà donna ed ha delle insegnanti donne in cui si può riconoscere, il giovane maschio ha spesso solo insegnanti donne. Allora su chi costruisce delle fantasie per dire “sarò anch’io così”,? “Sarò anch’io come il mio profe. di educazione fisica, come il mio insegnante di italiano”. Con chi si identifica? Si tratta di fantasie fondamentali per la crescita e lo sviluppo psicologico di un adolescente.
Le mamme sanno bene che quando un figlio maschio non ha figure di riferimento nei maschi, per una donna è molto difficile aiutarlo a crescere, ci sono dei passaggi infatti che solo un uomo può far compiere al figlio maschio. A questo proposito Robert Bly, racconta in un suo libro,di un sogno di un ragazzino americano. Da bambino era cresciuto in una comunità di donne. La madre si era separata dal padre, e lui era stato allevato solo da donne. Finché una notte fa un sogno: sogna di essere con un branco di lupi che corrono e di arrivare in riva ad un fiume. Quando si affaccia sullo specchio d’acqua, vede i volti degli altri lupi e non vede il suo. I lupi erano lupe, per cui lui allevato solo da femmine, non può riconoscere la propria identità, non vede il proprio volto.
Questo fatto per un giovane maschio è terribile. Il maschio ha bisogno di riferimenti maschili per diventare se stesso. Perché ? Perché solo il maschio è depositario dell’istinto maschile: una donna per quanto brava, comprensiva, anche capace di essere severa, non ha l’istinto maschile. E l’istinto è qualcosa che non si insegna con le teorie, si passa con l’esempio, con i comportamenti, in un rapporto che è prevalentemente affettivo e non di tipo intellettuale. Allora questo giovane è veramente in difficoltà nella società di oggi, è per lui molto difficile diventare un maschio. Perché non ci sono i padri, ma anche perché molti uomini non si sono presi la briga, la responsabilità di interrogarsi sulla scomparsa del principio maschile. Molti uomini cercano, Freud direbbe, di sublimare nel lavoro questa carenza, avendo successo nella professione, ma anche loro, in fondo, sono infelici.
Nella letteratura psicanalitica, a partire da Freud, vediamo raccontati casi clinici, (oltre che di donne, perché la psicanalisi nasce sull’isteria, che è una patologia psichica prevalentemente femminile) di uomini depressi, impotenti, incapaci di vivere felici, anche quando avrebbero le condizioni sociali ed economiche per essere felici. Qui arriviamo ad un altro punto che è fondamentale. Il fallo non è un principio economico, legato al risparmio, all’investimento. Di migliaia di spermatozoi uno solo va ad impiantarsi nell’ovulo, tutti gli altri muoiono. Il principio simbolico maschile è legato così anche allo spreco, al dare senza calcolo, senza ritorno, al perdere quello che si dà, alla generosità. Ma la storia dell’Occidente coincide negli ultimi due secoli con la storia del liberismo economico, dello sviluppo industriale, del capitalismo. L’Occidente è il luogo che ha fatto del successo economico il primo indicatore importante. Da noi è importante che uno sia ricco, che abbia un buon conto in banca, che abbia una posizione solida economicamente. Ma questo principio di conservazione della ricchezza non è un principio maschile, piuttosto è una forma degenerata del principio di conservazione della vita, tipico del femminile, che si trasforma in conservazione della ricchezza.
Allora qui vedete un’altra ragione che ci dice della difficoltà di essere maschio oggi. Perché essere maschio oggi vuol dire vedere con realismo, ma anche con capacità critica questa situazione e sapere che l’indicatore della ricchezza non esaurisce il principio maschile. Anzi spesso lo sacrifica.
Se il principio fallico è un principio opposto alla logica della conservazione e dell’accumulo di ricchezza, possiamo dire che il principio fallico è un principio legato al dono: un uomo che sia davvero un maschio deve essere capace di donare, donare se stesso, il suo affetto, il suo impegno, il suo tempo. Spesso i padri non hanno tempo per stare coi figli, per parlare coi figli e tutti sappiamo che non si può supplire col denaro ad una relazione affettiva.
Il complesso di Edipo
Ma c’è un’altra ragione che ci aiuta a capire perché è così difficile essere maschi: la necessità, improrogabile per lo sviluppo psichico di ciascuno (anche per la donna) di separarsi dalla madre. Penso che sappiate che Freud ha detto più volte che il nucleo centrale della sua teoria era il complesso di Edipo. Ripeto brevemente per chi non lo sapesse. Freud dice che quando un bambino nasce è molto attaccato alla madre per ragioni ovvie: viene dal suo corpo, è stato per nove mesi dentro di lei, è allattato da lei, nutrito da lei, ha un legame fortissimo, un legame simbiotico con la madre. Questo legame è molto importante nei primi mesi di vita, guai se non ci fosse: il bambino si ammalerebbe gravemente. Però a un certo punto il bambino deve diventare indipendente dalla madre, allora lì è indispensabile la presenza del padre, che permetta al bambino di staccarsi da questo legame con la madre.
Freud riprende una tragedia greca per parlare di questo problema. L Edipo re di Sofocle racconta che l’indovino Tiresia predice a Laio che suo figlio lo avrebbe ucciso e avrebbe sposato sua moglie Giocasta. Allora Laio, che sapeva del potere divinatorio di Tiresia, prende Edipo, suo figlio, lo consegna ad un servo perché lo sacrifichi, onde evitare il destino che gli era stato predetto. Il servo però non sacrifica il figlio e lo affida ad un’altra famiglia. Edipo, diventato grande, vuole sapere chi è suo padre e parte per interrogare l’oracolo. Per strada, in un passaggio angusto incontra Laio, senza sapere, ovviamente, che è suo padre. Nasce un diverbio e lui con un colpo lo uccide. Così si realizza la prima parte della predizione. Poi giunge a Tebe e nel frattempo in quella città finisce la peste. Edipo viene acclamato come un salvatore e viene dato in sposa alla regina, che era appena rimasta vedova del marito. Si trattava di Giocasta, sua madre. Quando Edipo verrà a sapere ciò che gli era successo si strapperà gli occhi e passerà il resto della sua vita nella disperazione.
Questo mito serve a Freud per dire che in ogni bambino c’è un Edipo, cioè un bambino che ama talmente sua madre da fantasticare di sposarla e che per fare ciò sarebbe disposto ad uccidere suo padre. Se un maschio resta dentro questo complesso psicologico, non cresce e non diventerà mai se stesso. Resterà per sempre prigioniero della madre, di quello che Jung chiama “il cerchio magico della madre.”
La necessità del padre
Per questa ragione Freud dice che è molto importante la presenza del padre che deve aiutare il figlio a separarsi dalla madre, esercitando nei suoi confronti una sorta di castrazione. Si tratta di una castrazione simbolica: il padre deve essere consapevole che è suo compito porre un limite al desiderio del figlio. Il figlio può desiderare una donna, ma non può desiderare sua madre. Il figlio intuisce fin da piccolo che la mamma è la donna del padre. Ma è la presenza reale del padre che lo aiuta nella separazione. E questo è, dal punto di vista psicologico, fondamentale. Naturalmente sul bambino l’effetto della castrazione paterna è molto potente, fa anche paura: “il padre grande, grosso, se vuole mi ammazza.” Allora è molto importante che il padre, sapendo che ci sono queste dinamiche psicologiche, abbia la sensibilità, la capacità di dimostrare il suo affetto al figlio. Deve però sapere che l’affetto del padre è diverso da quello della madre e che serve, in buona misura, proprio per separarsi dalla madre, ma anche per affrontare la società ed entrare nella vita adulta.
(Si tratta di un passaggio difficile: la separazione dalla madre crea problemi anche ad una figlia. Jung dice che la relazione madre-figlia è la più terribile che c’è. Qui ci sarebbe un altro tema da sviluppare, ma ci vorrebbe un altro incontro. )
Un padre per svolgere bene il suo compito deve essere un padre ben identificato col suo genere, un padre che è contento di essere maschio, non un padre che un po’ se ne vergogna, che dà sempre ragione alla moglie o fa sempre quello che gli dicono le donne che ha intorno, o che va a chiedere a sua madre come deve comportarsi con la moglie e che alla fine delega al mondo femminile l’educazione dei figli.
In questi casi si tratta spesso di un padre che non ha vissuto, a sua volta, un percorso di separazione dalla sua di madre, e quindi non è in grado di trasmettere al figlio un’immagine di padre, di maschio adulto, ben individuato con se stesso e quindi in grado di affrontare la vita con tutte le sue difficoltà.
Mi avvio alla conclusione. Ho parlato all’inizio della difficoltà del maschio a prendersi cura di sé. Il maschio ha più difficoltà della donna ad entrare in relazione con la sua parte inconscia, con la sua parte oscura, con la parte che non conosce. Questo fatto impedisce all’uomo di diventare più completo. Nell’inconscio infatti, come spiega Jung, abita l’Anima, la sua parte femminile che compare spesso nei sogni come una donna. L’Anima, essendo un principio femminile, completa dal punto di vista psichico il maschio. L’ Anima gli permette di sviluppare la sua sensibilità, le sue qualità psicologiche più personali e meno collettive. Gli insegna anche ad accettare i propri lati deboli e quindi a non avere paura della sua debolezza. Come donna interiore lo aiuta ad essere meno dipendente dalle donne esteriori. Il maschio che integra dentro di sé il principio femminile diventa così un uomo completo.
L’Anima è, secondo Jung, l’ambasciatore del Sé, del centro vero della psiche che, molto più della coscienza, aiuta l’individuo a trovare la strada della propria realizzazione. Potremmo dire che il Sé aiuta ciascuno a dare un senso alla propria vita, a trasformare il proprio destino in una vocazione. Si tratta per ciascuno di rispondere ad una chiamata, a qualcosa che viene dal profondo e che non è controllabile razionalmente. Solo in questo modo è possibile che ciascuno diventi davvero se stesso.
(n.b. Si tratta della sbobinatura della conferenza del prof. Paolo Ferliga.)