Chiesa e bisogno di Padri. La lettera di due sacerdoti della Diocesi di Vicenza
Recentemente due sacerdoti, don Daniele (giovane prete della Diocesi di Vicenza), con il confratello prete, don Cristiano, hanno scritto delle lettere al loro giornale diocesano, La Voce dei Berici, a partire dal problema della pedofilia tra i preti.
La loro lettera aveva in realtà lo scopo di far riflettere sulla crisi del maschile presente, a loro parere, oltre che nella società anche all’interno della Chiesa.
L’affermazione dello psicologo Tiziano Apolloni
Il punto di partenza della lettera è stata l’affermazione dello psicologo Tiziano Apolloni che in un’intervista sul giornale diocesano, alla domanda “come mai gli abusanti pedofili siano sempre maschi”, ha risposto che “la violenza è una caratteristica di genere, basta pensare alla guerra e a ciò che significa la spada nell’immaginario maschile”.
La loro lettera, che è stata pubblicata nel numero di domenica 4 luglio, è questa:
La lettera di due sacerdoti della Diocesi di Vicenza: don Daniele e don Cristiano
“Egregio direttore,
desideriamo contribuire al dibattito sul problema della pedofilia nella Chiesa e più generale su come l’identità di genere “maschile” è vissuta oggi. Lo facciamo a partire dall’intervista con il prof. Tiziano Apolloni pubblicata qualche settimana fa da La Voce. Ci ha colpito l’affermazione dello psicologo, alla domanda sul perché gli abusanti sono quasi sempre maschi. “L’idea della relazione prevaricante è maschile. - afferma - Il sopruso, l’imposizione della violenza, è caratteristica di genere”. L’intervista offre spunti di riflessione, ma in queste ultime battute ci è sembrato di sentire un po’ di “pregiudizi” verso il maschile e il suo immaginario, in riferimento alla spada, che naturalmente è il fallo e siamo rimasti un po’ perplessi.
Ci sembra che dietro al problema della pedofilia ci sia anche una crisi del maschio. E’ vero che i maschi possono abusare dell’aggressività e forza di cui sono portatori. Ma è proprio vero che tutto il “maschile” è così?
La relazione prevaricante è il lato oscuro del maschile, ma c’è anche un lato di luce. E il lato di luce del “maschile” lo si scopre quando ogni uomo inizierà a sentire che essere maschio è una cosa buona. Però per sentire questa bellezza, bisogna che qualcuno ti abbia insegnato a riconoscerla.
Il fallo, come ogni grande archetipo, ha luci e ombre. Esso non è solo una spada portatrice di violenza; con la sua capacità di donare il seme della vita, è anche amore, è il simbolo corporeo maschile della sua capacità di donarsi. Il maschio è il padre che, come dice Claudio Risè, dona al figlio la prima amorevole ferita staccandolo dalla relazione di simbiosi con la madre: dicendo il primo “no”, il padre aiuta il figlio a sentire che la vita non è solo appagamento, ma anche mancanza, perdita. Il figlio cresce perché impara che non può avere tutto e subito, come il bambino con il seno della madre. E’ una ferita che aiuta ad uscire dal proprio narcisismo. Dono di sé, ferita amorevole per uscire dal narcisismo: questi ci sembrano i due aspetti solari e belli del maschile.
A volte ci sembra che la società dei consumi, rappresentabile da una grande madre che soddisfa qualsiasi bisogno, non ami molto il “maschio” e i significati spirituali veicolati dal “maschile”. Lo intravediamo nei ragazzi che vengono difesi dai loro genitori dal professore che ha fatto un rimprovero o quando vediamo che in un caso di divorzio ancora con molta fatica si lascia che il figlio sia affidato al padre, come che il maschio sia inaffidabile. Oggi non si vuole più infliggere la ferita, e così siamo tutti deboli (ci inseriamo anche noi due!) e incapaci a sostenere la sconfitta e le mancanze che la vita presenta. Pensiamo che la società di oggi, con tutte queste paure sul maschile, non aiuti gli uomini ad amare il proprio genere, e quindi ad avere un clima sereno per accettare e canalizzare i propri coni d’ombra.
Oggi è il maschio il “sesso debole”. E così lanciamo alcuni interrogativi. Dove sono i padri e le figure maschili nell’educazione nella nostra società e nella Chiesa stessa? Nella Chiesa poi, i preti come vivono il loro essere maschi? Questo richiama molte altre questioni complesse quali l’educazione sentimentale del prete, il suo ruolo di padre, la questione dell’autorità, il saper reggere la frustrazione, la comunicazione delle emozioni profonde. Tutto questo rimanda al bisogno di riferimenti per noi preti per confrontarci e confidarci anche relativamente alla nostra vita affettiva e sessuale.
La vita ecclesiale è stata ricca per secoli di una Tradizione di Padri e Madri spirituali, felici di essere cristiani (e cattolici), i quali trasmettevano ai loro figli il segreto di essere uomini e donne dello Spirito, senza dimenticare i desideri del corpo e degli affetti (per questo basti guardare le vite di San Bernardo di Chiaravalle, Santa Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce, ai nostri giorni, Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio, Giovanni Paolo II). A quanto pare la Chiesa contemporanea talvolta fatica a far emergere questa Tradizione e oggi ci pare non sia così facile trovare Padri e Madri che trasmettano la forza e la gioia di appartenere a Cristo. E questo vale per i preti, ma non solo”.
don Daniele De Rosa e don Cristiano Mussolin
Il commento del teologo diocesano, don Luciano Bordignon
Questa prima lettera è stata seguita da un commento di un loro teologo diocesano, don Luciano Bordignon, il quale complessivamente ha visto bene questo intervento, e dice che “qualcuno ha detto che i preti, pur con tutti i suoi limiti sono gli ultimi padri che ci sono rimasti in questa società liquida”. Poi afferma ancora: “La lettera lamenta un insufficiente educazione dei preti all’esercizio della loro differenza di genere, ossia del loro essere maschi. La prospettiva mi sembra però piuttosto riduttiva. Ritengo sia più adeguato parlare di educazione ad essere padri”. Personalmente quest’ultima battuta Don Daniele e Don Cristiano non l’hanno capita: educazione alla maschilità e alla paternità sono poi così molto in contrapposizione? Comunque il teologo ha così concluso: “l’impegno educativo è urgente e l’averlo ricordato è già un merito che va riconosciuto ai due interlocutori”.
Una giornalista risponde ai due sacerdoti (che a loro volta replicano)
Nel numero di questa domenica 11 luglio ha risposto ai due sacerdoti anche Romina Gobbo, l’autrice dell’intervista con il prof Tiziano Apolloni, da cui sono partiti Don Daniele Don Cristiano. Nella sua comunicazione la giornalista Gobbo osserva che l’affermazione che “dietro al problema della pedofilia, c’è anche una crisi del maschio, personalmente mi sembra un po’ edulcorato, visto che stiamo parlando di uno dei reati più odiosi”. La risposta della Gobbo è sembrata ai due sacerdoti un gioco in versione giornalistica di “Uomini e donne”, il programma della De FIlippi. Ecco altre sue battute: “E veniamo all’aggressività che, secondo il dott. Apolloni, sarebbe caratteristica di genere. Anche qui guardiamo ai fatti. Mentre scrivo, l’Ansa sta mettendo in rete i take con la notizia di Luca Sainaghi, che ha ucciso l’ex fidanzata Simona Melchionda. Quante donne vengono continuamente uccise dai familiari, mariti, ex fidanzati… Vogliamo parlare dei maltrattamenti in famiglia? Non si può neppure negare che i pedofili siano quasi tutti maschi. Oggi c’è un incremento di donne che ammazzano i figli. E questo è un altro doloroso problema della realtà odierna, che ci fa riflettere e pone interrogativi. Ma la tesi che si fa strada è che forse l’evoluzione dei costumi ha portato le donne ad assimilare i comportamenti maschili, anche quelli più negativi”. Con quanto dice la Gobbo don Daniele e don Cristiano non si sono ritrovati, ed hanno scritto questa nuova lettera al settimanale diocesano, che non si sa se sarà pubblicata; comunque eccola qui di seguito:
Replica dei due sacerdoti alla giornalista Romina Gobbo
Gentile Romina Gobbo, siamo don Daniele e don Cristiano e vorremmo, rispondendo alla sua lettera, allargare il dibattito su altre tematiche inerenti alla mancanza della figura paterna.
Il maschile e paterno non esistono in se stessi ma in riferimento al femminile e materno, inoltre la dialettica maschile-femminile è presente in ogni singola persona: in ogni uomo c’è una dimensione femminile e in ogni donna c’è una dimensione maschile, dimensioni che in ognuno di noi sono chiamate a riconciliarsi (ma chi parla oggi di questo?). In cosa pensiamo consista la differenza dei ruoli? Pensiamo che il femminile-materno sia legato all’accoglienza e alla cura della vita, mentre il ruolo maschile-paterno lo vogliamo descrivere riportando quanto dice il prof. Claudio Risé (www.claudio-rise.it): «Uno dei più classici e più famosi esempi di rito di passaggio è quello, come dice lo storico Mircea Eliade, in cui il gruppo degli uomini raggiunge il gruppo delle donne, che stringono a sé i bambini, a loro volta ritualmente, perché in realtà sanno bene cosa stà per accadere; gli uomini strappano alle madri i bambini e li alzano offrendoli a Dio. Questo è uno dei riti che esemplifica bene cosa fa il padre: prende il figlio alla madre e lo offre a Dio, lo sposta dalla dimensione orizzontale, cioè dei bisogni materiali e lo mette nella dimensione verticale, della comunicazione col divino e col Padre celeste». Dimensione femminile della cura e dimensione maschile della trascendenza sono entrambe importanti e nel loro armonizzarsi costituiscono l’essere umano.
Pensiamo che oggi, tuttavia, viva di più la dimensione femminile-materna della cura dei bisogni materiali della vita e meno la dimensione maschile-paterna della trascendenza rispetto alla sola vita biologica. Vorremmo sottolineare che secondo noi questa situazione è anche una reazione storica a lunghi secoli di dominio da parte del lato oscuro del maschile, rappresentato da un certo patriarcato, sfociato poi nei totalitarismi del XX secolo. Dal dopoguerra in poi l’ago della bilancia si è spostato alla sola dimensione materiale tipica di una società consumistica. Non c’è spazio in questa lettera, ma sarebbe interessante analizzare quanto anche la Chiesa si sia livellata solo su questa dimensione orizzontale. Noi, ovviamente, non pensiamo ad un ritorno al patriarcato ma ad un reinserimento equilibrato della figura paterna (a patto che i padri non facciano i “mammi”!).
Perché abbiamo detto che il maschio oggi è il sesso debole? Perché l’essere umano è l’unico, tra gli animali, che non nasce sapendo “per istinto” come amare, come organizzare i propri affetti; lo impara quando qualcuno glielo insegna, che per il ragazzo è il padre, figura che oggi secondo noi non c’è o è debole. Le ragazze sono agevolate da una presenza effettiva, nel campo dell’educazione, delle figure femminili, nonché per una loro connaturale sintonia con il mondo della corporeità e dei sentimenti; mentre per il ragazzo riteniamo che sia pericoloso dal punto di vista pedagogico criminalizzare l’aggressività per partito preso, ma che il vero pericolo è la mancanza di maschi adulti che educhino all’utilizzo della forza presente in loro. In questo senso riteniamo che il maschio oggi sia il sesso debole: lasciato a se stesso nella sua crescita sentimentale e i suoi valori spirituali denigrati o guardati con timore”.
Don Cristiano e Don Daniele