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Maurizio Baroni sull'uscita a Saviore dell'Adamello, marzo 2023

Campo Maschile

 

Saviore dell’Adamello

Uscita 10-11-12 Marzo 2023

 

Cari Tutti,

 

Premessa

Non avevo intenzione di scrivere di questa esperienza di Saviore, giacché mi do già molta noia da solo per infliggerla ad altri e per non rischiare di intestarmi il titolo di scribano.

Non ho potuto però sottrarmi alla sollecitazione quando Paolo “subdolamente” ha aggiunto “me lo ha chiesto anche Michele”, facendomelo così diventare un imperativo.

Vi allego quindi questa nota piena di errori ed omissioni.

 

Il borgo deserto e la ragnatela di Bigio

La prima sera giro fumando la pipa per il paese e solo qualche sparuta luce segnala la presenza dei paesani superstiti; qualche abbaio cade sopra i tetti di Saviore che sembra caduto addormentato come negli incantesimi delle fiabe in attesa del ritorno alla vita.

Il nostro ospite Italo Bigioli, detto Bigio, ci raggiunge dopo cena e con il suo racconto pacato ti avvolge in una ragnatela di esperienza in cui cuce con un sapere incarnato, dalla storia alla geologia alla chimica alla botanica alla medicina alla tradizione locale, in una parola un sapiente, umile e autentico.

Ci racconta della genesi dell’associazione Amici della natura e di questa casa nella quale siamo ospiti, di Alexander Langer un profeta laico del nostro tempo, del parlamento europeo e dell’incontro con gli indiani Apache e Lakota che gli hanno trasmesso il rito e lo hanno autorizzato ad eseguirlo.

Dice che i riti devono essere eseguiti secondo pedissequa istruzione o possono fare male, trasmettere anziché l’Ardore e la vitalità che ne deriva l’ombra, il negativo.

Capisco che è qui, lontano dalla civiltà, dalle comodità che giace il “segreto” che non è segreto della vera comunione con la natura ed i fratelli.

 

È sconvolgente, apre una finestra impensabile, quando Bigio afferma che la tempesta Vaia in questa valle ha trovato il punto di innesco in un luogo in cui sorge una sorta di tempio votivo degli antenati; dice anche che ora, dopo la gigantesca spazzolata di abeti, la natura si riprende rigogliosa nelle forme e nelle essenze che c’erano al tempo degli antenati. Capisci? I nostri occhi vedono l’ambiente vergine che videro “Loro”. Le foreste di abete rosso non sono infatti autoctone e quello che resta viene corroso dal bostrico tipografo, che nel corrodere incide i suoi artistici disegni nel legno.

Sembra che la natura abbia voluto dare uno scossone agli orpelli dell’uomo faber che vale niente quando il tempo si misura in ere o eoni, insiemi di ere.

Viene a mente un racconto di Mario Rigoni Stern, che non ritrovo, che recita che il mondo finirà quando un picchio con il suo becco avrà consumato un enorme masso erratico e che il ciclo della vita è un fremito fra l’eternità e l’eternità.

Sotto la guida del nostro maestro delle percussioni; Pier Catini, sperimentiamo poi il drum circle, una sessione di tamburi di diverse fogge che ciascuno suona e che serve a costruire ritmo, ascolto reciproco, empatia.

 

Il rito Lakota della tenda sudatoria

Il sabato dopo una breve puntata al bosco delle betulle per estrarne la linfa ci dirigiamo allo slargo della capanna sudatoria, disturbato dal basso continuo delle apparecchiature di captazione dell’ENEL.

Bigio inizia la lunga preparazione del fuoco e della tenda che ci porterà a ritrovarci in circolo con precisa istruzione al suo interno.

Il segnale arriva dal suono emesso dal corno di stambecco, animale che Bigio spiega essere coevo con gli abitanti primitivi di queste valli e rimasto immutato; quindi, suonando il corno tu emetti lo stesso suono allo stesso modo degli antenati.

 

Ascoltato le voci del celebrante e le risposte alle sue sollecitazioni nella tenda, ove tutte le energie sono volte a dominare il panico, essendo la situazione fuori dalla mia possibilità di controllo, mentre medito di sfondare la tenda e fuggire urlando, ma mi domino e la sofferenza si trasforma nel piacere delle gocce che scivolano sulla pelle e in una sospensione uterina.

Uscito infine barcollante mi bagno nel torrente con gli altri che non vedo e non mi vedono. Sono a monte di Federico e gli dico mi stai sporcando l’acqua, non venendo compreso nella mia coltissima citazione di Esopo e forse nemmeno sentito.

 

Alla fine, ci ritroviamo nell’abbraccio affettuoso di tutti con tutti nel quale per un lungo momento ci siano riscoperti fratelli.

 

La roccia delle coppelle

La domenica mattina grazie alle formidabili capacità di orientamento di Alessandro raggiungiamo un enorme masso erratico con delle coppelle, dei segni rituali incisi lasciati dagli abitanti originari di queste valli più o meno coevi alle iscrizioni di Naquane a Capo di Ponte. La roccia ricorda una piccola montagna e nella meditazione l’immaginazione vede un profilo di cervo stagliarsi sulla cima, illuminato dal sole alle spalle per poi dissolversi nell’immagine del Golgota con la sua croce.

Altri maschi comunicano le impressioni avute durante la meditazione con le mani sul masso: il freddo, l’immanenza, i richiami alla forma fallica così come il necessario bastian contrario di chi nella roccia, e per fortuna, non ha sentito proprio niente se non un masso freddo e antipatico.

 

 

Maurizio Baroni,

Coccaglio, Montorfano 15 Marzo 2023